IL DANNO MORALE: LE LINEE GUIDA DELLA CASSAZIONE

La Suprema Corte torna ad affrontare, con la sentenza n. 25164/2020, la delicata questione della risarcibilità del danno non patrimoniale, attraverso il richiamo a principi già espressi in ordine al danno biologico (leggasi danno alla salute), alla sua personalizzazione, e al danno morale.

SUL DANNO BIOLOGICO

Gli Ermellini ricordano innanzitutto che per danno biologico si intende “la lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato” (art.138 Codice delle Assicurazioni). Il danno biologico è pertanto la conseguenza della violazione del diritto di ciascuno alla salute ed è accertabile attraverso un’indagine medico-legale.

SULLA PERSONALIZZAZIONE DEL DANNO ALLA SALUTE

In merito alla c.d. “personalizzazione” del danno alla salute, la Suprema Corte ha affermato che essa consiste in una variazione in aumento (ovvero, in astratta ipotesi, anche in diminuzione) del valore standard del risarcimento, per tenere conto delle specificità del caso concreto” ed aggiunge che tale personalizzazione deve trovare giustificazione “in circostanze eccezionali e specifiche, sicchè non può essere accordata alcuna variazione in aumento del risarcimento standard previsto dalle “tabelle” per tenere conto di pregiudizi che qualunque vittima che abbia patito le medesime lesioni deve sopportare, secondo l’id quod plerumque accidit [ossia secondo ciò che accade di solito], trattandosi di conseguenze già considerate nella liquidazione tabellare del danno”. 

Tale impostazione ricalca la disciplina prevista dal Codice delle Assicurazioni ove si prevede che l’ammontare del risarcimento possa essere aumentato qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati ed obiettivamente accertati” (art. 138, n.3).

In altre parole, la personalizzazione del danno consente un aumento (o una diminuzione) dei valori standard di risarcimento del danno alla salute laddove la lesione accertata si ripercuota su particolari attività della vita quotidiana.

SULL’AUTONOMIA DEL DANNO MORALE

Nella citata sentenza si riafferma il principio secondo il quale il danno morale mantiene una sua autonomia rispetto al danno biologico, in quanto si tratta di una sofferenza di natura interiore e non relazionale; un pregiudizio siffatto, laddove sussistente, è ritenuto meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi. Gli Ermellini affermano pertanto che il danno morale “1) non è suscettibile di accertamento medico-legale; 2) si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato.” 

Tanto considerato sul piano sostanziale, la Corte afferma che il giudice deve procedere all’accertamento del danno morale quale autonoma componente del danno alla salute, di fatto criticando l’attuale sistema fondato sulle Tabelle di Milano che conglobano il pregiudizio morale in quello biologico, ingenerando un automatismo risarcitorio.

Sulla scorta di tale principio, in caso di positivo accertamento del danno morale, esso deve essere liquidato separatamente dal danno biologico sulla base dell’aumento percentuale previsto dalle Tabelle di Milano. In caso di accertamento negativo, ai fini della liquidazione il danno dinamico-relazionale, deve essere considerata la sola voce del danno biologico, depurata dall’aumento tabellare del danno morale, onde evitare la duplicazione del risarcimento per il medesimo pregiudizio.

SULL’ONERE PROBATORIO

In ordine alla prova del pregiudizio morale, la Corte svolge un ulteriore approfondimento in merito all’onere probatorio gravante sul danneggiato. 

Invero, la dimensione prettamente soggettiva del danno morale fa sì che la sua esistenza non corrisponda sempre una manifestazione suscettibile di percezione immediata. Di conseguenza, onde evitare la formulazione in giudizio di capitoli di prova volti a dimostrare il significativo mutamento dello stato d’animo del danneggiato, si ricorre sovente al ragionamento di tipo presuntivo – con cui si risale da un fatto noto (una determinata lesione) ad un fatto ignoto (un determinato pregiudizio) – basato su un fatto notorio, ossia una circostanza storica caratterizzata da un tale grado di certezza da essere incontestabile e quindi non soggetta a prova. Tuttavia, la Corte afferma che il riferimento più corretto, e comunque sufficiente a fondare il convincimento del giudice, è quello alle massime di esperienza che sono regole di giudizio basate su leggi naturali, statistiche, di scienza o di esperienza comunemente accettate in un determinato contesto storico-ambientale. 

Di conseguenza, la prova del nocumento morale può essere data dalle presunzioni fondate sulle massime di esperienza.

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La Suprema Corte, con la sentenza n.25164/2020, ha affrontato il rilevante tema del risarcimento del danno non patrimoniale, muovendo altresì una critica all’attuale sistema tabellare di riferimento, e, pertanto, i principi ivi affermati sono destinati a produrre significativi effetti nei giudizi pendenti e nelle future sentenze riguardanti controversie in materia di risarcimento danni.

Il nostro Studio segue quindi con attenzione le ricadute pratiche della citata pronuncia.

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